giovedì 6 gennaio 2011

LA MISTERIOSA FIAMMA DELLA REGINA LOANA

LA MISTERIOSA FIAMMA DELLA REGINA LOANA
Ovvero da Fantomas alle riforme della scuola

Pensieri e riflessioni

In questa fase transitoria di profonda incertezza che ci sta investendo come docenti e professionisti della scuola, mi imbatto sempre più spesso in interrogativi di fondo, dove si pongono quesiti sul futuro dell’educazione e degli obiettivi della formazione.

Non è inconcludente chiedersi quali siano i mezzi e gli strumenti su come il sapere sarà trasmesso da una generazione all’altra. Esiste una memoria transgenerazionale? Come avviene lo scorrimento del sapere, delle conoscenze, delle concettualizzazioni dalla società costituita e dal mondo adulto a quello del bambino?

Su questi interrogativi il romanzo di Umberto Eco “La misteriosa fiamma della regina Loana” sollecita una riflessione. Sembra quasi che Yambo, il protagonista, che si muove nella nebbia di una memoria persa e nel tentativo caparbio di ritrovarla, costituisca la metafora pedagogica fondante del sapere.

UNA MEMORIA DI CARTA

Yambo, uscito da uno stato di coma dovuto ad un incidente, non ricorda chi è, non prova emozioni davanti a se stesso, alle persone care, agli oggetti del proprio vissuto quotidiano. Vaga nella nebbia di un passato completamente buio, la sua prima luce appare nell’attimo del risveglio. Nella sua mente ci sono solo parole, concetti acquisiti, espressioni, esercizi linguistici e letterari, che riemergono a tratti, ma privi di emozioni e del percorso di acquisizione che li ha solidificati.

“Tutte queste cose la memoria accoglie nella sua vasta caverna, nelle sue pieghe segrete e ineffabili, nell’enorme palazzo della mia memoria dispongo di cielo e terra e mare insieme, là incontro anche me stesso…La facoltà della memoria è grandiosa, Dio mio, la sua infinità e profonda complessità ispira quasi un senso di terrore, e ciò è lo spirito, e ciò sono io stesso… Nei campi e negli antri, nelle caverne incalcolabili della memoria, incalcolabilmente popolate da specie incalcolabili di cose, per tutti questi luoghi io trascorro, ora volo qua e là, senza trovare limiti da nessuna parte…”

In questa bellissima citazione delle Confessioni di Sant’Agostino si nasconde il potere della memoria. Essa esiste come fondamento della vita: esiste una memoria del gesto, del sapore, del suono, della parola, dei sensi e delle loro reazioni alle situazioni fisiche e biologiche, ma esiste una memoria che è parte integrante dell’esperienza, del processo di apprendimento, dell’emozione e dell’emotività che genera valori, scelte future, l’essere quella persona e proprio quella.

Se la memoria fisica e biologica per Yambo si risveglia abbastanza in fretta ripercorrendo semplici quotidianità e ritrovando i luoghi e il contesto dove queste si esplicano, l’altra, quella dell’essere, rimane per lui una caverna vuota, una caverna che decide di penetrare da solo…come Tom Sawyer.

Ecco il suo viaggio a Solara, nella casa del nonno dove aveva trascorso la sua infanzia turbata dalla morte dei genitori in seguito ad un grave incidente.

Nel viaggio verso il paese Yambo riscopre il paesaggio come se fosse la prima volta, ma lo sente suo, sente che avrebbe potuto gettarsi a corsa pazza giù per le valli, sapendo dove mettere i piedi e dove andare. Grande assunto di Eco: la memoria ha bisogno di un contesto ove esplicarsi, la storia va contestualizzata, va inserita all’interno di coordinate precise siano esse di ordine temporale, spaziale, concettuale.

Impossibile non confrontarsi con il fare storia a scuola, dove ancora si limita l’approccio disciplinare come narrazione, come racconto di fatti ed aneddoti ordinati nel tempo e localizzati come meteore impazzite che ruotano in un universo di cui non si tiene affatto conto della complessità.

Il ritorno di Yambo: “Non era solo il tentativo di ricordare quello che era stato prima di lasciare Solara, bensì anche quello di comprendere perchè avessi fatto quello che avevo fatto dopo Solara.”

Ed ecco il percorso a ritroso nella propria vita da piccolo, dapprima attraverso gli oggetti della casa, i quadri, le stampe, e poi la soffitta.

Sulle stampe Eco afferma che: “Forse, prima che su molti libri di avventure, ho esplorato la policroma pluralità delle razze e popoli della terra su quelle stampe..” . Ricordo bene queste stampe appartenute a mio nonno, così come i libri di avventura, da Salgari a Verne, Dumas e molti altri, ci consentivano un approccio con il mondo altro che oggi è veicolato molto più velocemente da altri mezzi di comunicazione. La piccola quantità di materiali a nostra disposizione faceva sì che la capacità di analizzare fosse maggiormente sviluppata, guardavamo e riguardavamo le figure, le stampe, le figurine, rileggevamo lo stesso libro tre, quattro, dieci volte scoprendo sempre cose nuove e diverse. Per i nostri alunni questo non esiste più, la capacità di analisi va sviluppata, tutto passa molto velocemente davanti ai loro occhi, è impossibile chiedere di rileggere la stessa storia o lo stesso libro. Forse il mediatore si è modificato: da libro a TV-DVD o videogioco, ma anche questo è limitato perchè le proposte sono talmente tante e pressanti che spingono continuamente verso le novità. Non affermo che i nostri alunni non siano in grado di analizzare, ma ritengo che tale competenza si esplichi in modalità diverse, vada sollecitata, attentivata, ripercorsa. C’è, sta ferma, finchè non trova lo stimolo adatto, la motivazione, il contesto per essere utilizzata.

Con grande emozione ho scorso le parole di Eco che raccontano la rilettura del Nuovissimo Melzi. “…Questa era stata la prima enciclopedia della mia vita e dovevo averla sfogliata a lungo..”. Negli anni sessanta i miei genitori decidono di acquistarmi una Enciclopedia (Conoscere) a rate. Arrivava un tomo al mese ricordo quanto piacere e quanto tempo ho passato su quelle pagine. Anch’io come Eco mi chiedo “Qui si era formato il mio sapere?”

Che dire poi della soffitta? (esistono ancora soffitte?)

La descrizione è talmente personalizzabile che racconta l’ambiente come in un quadro o meglio in una fotografia color seppia:

“Sensazioni immediate. Il caldo…Poi la luce…il sole filtra appena, formando lame gialle in cui si vedono agitarsi infiniti corpuscoli….Infine,il colore dominante…del solaio, dato dalle travi, dalle casse qua e là ammucchiate, dagli scatoloni di cartone, dai rimasugli di canterani dissestati, è un colore da falegnameria, fatto di tante sfumature di marrone, dal giallastro del legno non verniciato alle tenerezze dell’acero, sino alle tonalità più cupe di comò dalle vernici ormai scrostate, passando per l’avorio delle carte che debordano dalle scatole”.

La soffitta di mio nonno era questa, una giungla infinita nella quale entravo di nascosto, per non si sa quale impresa, ma ogni scatola, angolo, pila di carte, libri, fumetti, vestiti e scarpe vecchie, ma anche i manifesti dei film (mio padre e mio zio lavoravano nel locale cinema), i sacchetti delle matrici dei biglietti di ingresso che a noi bambini servivano come mattoncini lego per castelli e paesaggi fantastici, era una avventura sempre nuova dove la memoria di altri si accumulava e trovava i suoi cassetti, passava, scorreva. Quello che sono oggi sono perchè lì “annusavo il passato. L’infinito,(del tempo e dello spazio) percepito dagli occhi di un bambino..”

Le scatole di latta: Eco riporta vari esempi storicamente conosciuti, ma io ne possiedo ancora una. Era la scatola che conteneva dei dadi da brodo: “Lampbrodo”. Anche in questa scatola il fascino sta nella sua “infinità”: vi è rappresentata una via centrale di una città con tanti palazzi dove si affacciano numerosi negozi. Le insegne dei negozi riportano la scritta Lampbrodo e nelle vetrine vi sono altre scatole con la stessa riproduzione e così all’infinito appariva un’altra scatola con la stessa città e le stesse vetrine.

“Si imparano da piccoli, la metafisica dell’infinito e il calcolo infinitesimale, solo che non si sa ancora quello che si sta intuendo”

Eco continua con queste asserzioni pedagogiche fondanti delle didattiche e metodologie delle discipline che spesso dimentichiamo nella pratica, chiedendoci spesso perchè i nostri alunni sono così superficiali, privi di concetti, di saperi. Mi chiedo: forse non sono mai andati in una soffitta?

Non mi soffermo sui tesori della soffitta (fumetti, libri, quaderni, riviste…) ma proseguo con il viaggio di ricostruzione di Yambo che dopo otto giorni di immersione afferma: “Ho capito che quei giorni nella soffitta sono stati spesi male: avevo riletto pagine che avevo sfogliato a sei o a dodici anni, altre a quindici, commuovendomi volta per volta su vicende diverse. Non è così che si ricostruisce una memoria. La memoria amalgama, corregge, trasforma, è vero, ma raramente confonde le distanze cronologiche….sapevo che c’era stata una maturazione, un mutare d’opinioni, un confronto di esperienze….dovevo rimettere le cose per ordine e centellinarle secondo il fluire dei tempi. Chi poteva dirmi quello che avevo letto e visto a otto piuttosto che a tredici anni? Ci ho pensato un poco e ho capito…i miei quaderni di scuola. Quelli erano i documenti da rintracciare…”

Altra lezione epistemologica di Eco: la storia e la memoria è un percorso nei documenti e nella documentazione, ribadisce alcune operazioni proprie della disciplina: scegliere, ordinare, catalogare, periodizzare, tematizzare, ricavare informazioni esplicite e inferenziali. Non posso non andare con amarezza a quei genitori che buttano i quaderni dei bambini al termine dell’anno scolastico, perchè non c’è posto e …tanto non servono più. Sono una parte del proprio vissuto, del proprio percorso di conoscenza e di apprendimento, documentano chi sono stato, chi sono e chi sarò.
Ben esplica Eco l’agire dello storico. “…quello che è poi rimasto è stato…la quintessenza di un montaggio. Ho incollato testimonianze disparate, tagliando, collegando, vuoi per naturale sequenza delle idee e delle emozioni, vuoi per contrasto. Quello che mi è rimasto…era l’ipotesi elaborata a sessant’anni di quello che avrei potuto pensare a dieci…”

E di qui Yambo riparte per un’ulteriore tentativo di ricostruzione del suo passato: ho una ipotesi, la verifico. Come? Raccolgo le testimonianze, le comparo con le diverse tipologie di documenti che ho raccolto, riverifico la mia ipotesi, la confermo o la rielaboro. E’ il percorso che generalmente può essere utilizzato nella didattica della storia attraverso le situazioni problema e le attività di laboratorio che prevedano uso di documentazioni e fonti di vario tipo.

Eco non è nuovo a queste sue lezioni pedagogicamente fondanti. Penso a “Il nome della rosa”, mirabile romanzo di ricostruzione ed indagine che utilizza il metodo analitico, osservativo e deduttivo dello storico, penso a “Il pendolo di Foucault”, dove il lettore è portato ad utilizzare il metodo per arrivare alla logica conclusione del romanzo. Il tutto parte da un testo a buchi, può anche essere una lista della spesa, qualunque cosa. E’ interessante provare esperienze del genere con gli alunni: dare documenti in parte illeggibili e chiedere di ricostruirli sulla base del possibile senso. Ho attuato un’esperienza del genere con alcuni documenti del 1808 relativi alla Commissione di Leva del nostro paese. La mancanza di parole che esplicitassero il significato reale ha spinto gli alunni a fare varie ipotesi, a ricostruire il quadro storico dell’anno nel contesto locale (parliamo del periodo napoleonico), a ricercare informazioni precise (tematizzazione: l’esercito napoleonico, sua composizione, regole, divise…), a ipotizzare di chi e cosa si parla, a ricostruire la narrazione storica, a riempire creativamente le fasi non documentate, le cause e le possibili conseguenze (rielaborazione: “Correva l’anno 1808: la storia di Francescon Alvise”), a verificare e rispondere alla situazione-problema posta all’inizio del percorso (Il fenomeno della diserzione dall’esercito napoleonico: fatti isolati o pratica comune?)

Ritrovo quanto sopra esplicitato nel Pendolo di Foucault e nelle mie note (oramai datate) a margine: la didattica antropologica non come rapporti di causa — effetto, ma come analisi problemica e formulazione di ipotesi che utilizza il percorso nei dati estrapolati da analisi di fonti, dove il lavoro dello storico comprende anche la ricostruzione fantastica in mancanza o con dati (anche parziali). La storia come interpretazione come: “Trovare la verità ricostruendo esattamente un testo mendace

IL TESORO DI CLARABELLA

Riflettere sull’essere e fare di una disciplina da parte del docente è suo dovere fondamentale.

Le questioni che il fare scuola ci pone non sono da sottovalutare. A fronte di un impianto valoriale inaccettabile per le implicazioni discriminatorie, dove la personalizzazione è esaltazione della diversità e incapacità di molti, a fronte di un impianto organizzativo che sostiene un’idea di prestazione e non di qualità, a fronte di un’ottica sempre più votata al risparmio e non all’investimento nella ricerca, la scuola e i docenti hanno la possibilità di utilizzare questo passaggio come occasione di ripensamento del proprio operare.

“Non si tratta solamente di apprendere ad apprendere, ma di apprendere a comprendere, ad emanciparsi dalle false parvenze, di osare uno sguardo audace sul mondo ed a interrogare, senza metterli in opposizione, contenuti e metodi, sapere, cultura e soggetto

Il terreno di gioco sarà sicuramente quello delle didattica laboratoriale. Ripensare ai laboratori non solo come contenitori di apparecchiature e strumentazioni (al massimo di archivi), ma come ambiente originale di conoscenza, che può stare al di fuori o al di dentro di luoghi, spazi, strutture, territori.

I.Mattozzi ben distingue tra “operatività” e “laboratorio”, dove la prima “mette gli allievi in condizioni di apprendere svolgendo esercizi di manipolazione dei materiali di apprendimento”, la seconda “si svolge in un ambiente condiviso e in cui docente e allievi tra loro interagiscono in una fase del processo di costruzione della conoscenza e delle competenze…la didattica laboratoriale deve congiungere il processo di insegnamento con quello di apprendimento”

I laboratori hanno come caratteristica di ripensare il processo di apprendimento/insegnamento, utilizzando didattiche che promuovano lo sviluppo di competenze transidisciplinari, attraverso una forte interattività tra insegnanti e alunni, dove l’apprendimento sia condiviso, dove i materiali e i mediatori didattici siano funzionali allo svolgimento del compito d’apprendimento, dove l’ambiente di realizzazione sia a sua volta il contesto esplicativo del percorso, dove si sviluppino elementi di metacognizione e riflessione.

Cosa faremo correre sul nostro campo di gioco? Una bella “palla da giocare” è sicuramente il territorio. Oltre a contenere al suo interno tutte le opportunità operative necessarie, si pone in ottica transdisciplinare, diventa ponte tra scuola e la conoscenza, aula didattica decentrata e (perchè no) multimediale per i molteplici stimoli che offre.

Come giocheremo la nostra partita? Se partiamo dai romanzi di Eco possiamo affermare che il sapere “storico” (antropologico nel suo insieme, ma anche il sapere e l’essere di un individuo) si costruisce (è quello che ha fatto Yambo per tutto il romanzo, anche se sarà una forte emozione a fargli ricordare chi è). La didattica per problemi diventa una strada percorribile. Non credo sia così diffusa nella pratica quotidiana dei docenti. Il procedere su situazioni problema deve essere frutto di una attività di riflessione profonda che nasca dai bisogni reali di una scuola e del suo territorio. “Il sapere non è soltanto un oggetto esterno a colui che impara, ma anche, e forse soprattutto, un rapporto al sapere concepito come un’interazione tra il soggetto che apprende e i contenuti del sapere; senza una attività di interrogazione che previene direttamente dal discente, il sapere è un sapere morto” (Prof. Alain Dalongeville)

Non si tratta solo di porre domande, ma di far nascere domande e su queste costruire percorsi. Nulla sarà definitivo, ma ogni situazione problema dovrà farne nascere altre, si tratterà di fare ricostruzioni teoriche e complesse, che richiamino più rappresentazioni mentali e punti di vista e che puntino alla costruzione della coscienza critica attraverso il confronto con se stessi e con altri.

La scoperta del vero “tesoro di Clarabella” sta proprio nel sapersi giocare la partita di una scuola di qualità, in grado di riflettere ed operare scelte, anche dolorose sul piano organizzativo, ma che abbiano come centro il bambino e il suo apprendere. Ogni difesa di privilegi e ritmi convenzionalmente costituitisi, impedisce alla scuola di crescere e lascia spazio all’applicazione di meccanismi estremamente pericolosi per il futuro dell’istruzione e della formazione.

Per fortuna c’è Eco….

(Brani tratti da "La misteriosa fiamma della Regina Loana" Ed. Bompiani di U.Eco e "Il pendolo Foucault" Ed. Bompiani di U.Eco)

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